giovedì 24 gennaio 2013

L'essenza della democrazia



Desidero riportare alcuni passi[1] di quel Maestro del pensiero democratico che fu Alcide De Gasperi, i quali racchiudono il senso della politica vissuta come servizio. Che possano essere di buon auspicio per tutti, specialmente per noi giovani.

Il nostro è un contesto sociale in cui si stanno mettendo in dubbio una pluralità di valori, spesso morali ed etici, che sono imprescindibili per lo sviluppo della società civile. La progressiva degenerazione della politica non è altro che la fotografia di un sistema che lentamente si sta spegnendo: che fare allora? Riprendere in mano la storia e i fondamenti che caratterizzano una democrazia degna di tale nome. Sostiene De Gasperi che “la democrazia non è semplicemente uno Statuto”, il perfetto contrario di quello che sta avvenendo con la proliferazione di molteplici partiti politici, o presunti tali, ad personam che tra il comico ed il teatrale mettono in ombra il vero significato della politica: servizio ai cittadini. Continua “La Repubblica non è semplicemente una bandiera: è soprattutto una convinzione e un costume; costume di popolo. È necessario che ci persuadiamo che il regime democratico è veramente un regime molto duro, un regime che esige un addestramento e una vigilanza continua. Bisogna creare con lo sforzo quotidiano la democrazia nell’abitudine, nel Parlamento, nel Governo, nei partiti e nelle associazioni. Ogni giorno è necessario riconquistare la democrazia, dentro di noi contro ogni senso di violenza, fuori di noi con la esperienza della libertà”.

Espressione concreta della democrazia, intesa come immagine della volontà popolare, sono i partiti ma “[…] la funzione di un partito va armonizzata col diritto e con la funzione delle persone del partito, cioè l’organizzazione democratica non deve livellare la personalità; ma la personalità deve coordinare il proprio impero creativo e propulsivo in uno sforzo che corrisponda alle possibilità della massa che segue; non deve distanziarsi perché andrebbe a finire all’isolamento o alla dittatura; non deve lasciarsi deprimere perché ciò significherebbe il passo con i meno agili”. Dunque[…] un partito vince non per il numero dei suoi iscritti o non soltanto per questo; vince per la forza di interpretazione della volontà del Paese”. Mai parole furono più vere ed attuali. La democrazia è un valore che va difeso anche se comporta un alto grado di maturazione collettiva per capirne l’intima essenza, spesso assente. "Si parla molto di chi va a sinistra o a destra, ma il decisivo è andare avanti e andare avanti vuol dire che bisogna andare verso la giustizia sociale".

                                                                                                                      E.D.M






[1] Estratti dal discorso per il II Congresso nazionale della Dc, Napoli, 17 novembre 1947.

mercoledì 23 gennaio 2013

Politica e Diritto

Politica e Diritto. Due categorie tenute distinte dalla dottrina, secondo un grande maestro del Diritto (Ferrajoli) che oggi bisogna cominciare a riunire. D’accordo, riuniamoli, ma prima è necessaria una ricognizione, generalissima, e me ne scuso, sullo stato della politica in Italia. Ovviamente si accennano argomenti che è impossibile ed inefficace sviscerare in questa sede; ma che possono essere approfonditi in caso di dibattito.

La prima questione che appare evidente all’osservatore da lontano, senza bisogno di binocolo, è il detrimento degli argomenti politici. Nella campagna elettorale più veloce delle ultime tre competizioni, di idee se ne è parlato pochino. Sarebbe stato gratificante sentire quale idea di Uomo accettano, quale respingono, i vari candidati. Quale antropologia, sociologia, quale orizzonte si apre votando Bersani ovvero Monti, Berlusconi, Storace, il Movimento 5 stelle?

Parliamo di candidati e non di partiti, per l’ulteriore questione, identificabile a una distanza più ridotta dal cuore del problema politico: sistema istituzionale partitico, cioè forma di governo parlamentare, ma con una legge elettorale che non si adatta, che pretende l’indicazione del “capo” di coalizione, o di lista, e che rende “quasi” vincolato il Presidente della Repubblica ad affidare l’incarico di formare il Governo a quel “capetto”, tronfio di una legittimazione popolare estorta agli elettori.

Addentrandosi nella babelica architettura politica italiana, gli occhi sono attratti come falene al neon, da una vicenda più complessa, ma più importante di tutte. La classica tripartizione dei poteri, le concezioni che muovono da Locke, Bodin, Hobbes, insomma lo Stato moderno, sembra intenzionato ad andare in pensione (dopo aver scontato gli anni in più che la riforma Fornero gli ha concesso). Come? Sotto diversi profili, ma il più apparente è proprio nel rapporto tra politica e Diritto. 

Quando magistrati (requirenti, si badi, non giudicanti) si preoccupano di politica, candidandosi, invece di servire la legge, con la loro attività privilegiata in cui sicuramente può manifestarsi una concezione politica di società, di uomo, di morale, è chiaro il sintomo di un’influenza negativa: cosa per-seguono, quale interesse (al singolare) sottendono alla propria azione? Sembra che la spinta ricevuta da questi soggetti, considerabili nel complesso come categoria, come “automata” (macchine che si muovono da sole una volta avviate dall’esterno), sia quella morale. Il Diritto è fuori dalla loro ottica, e si può rintracciare una concezione morale della politica: moralismo. Si può immediatamente pensare al settecentesco Thomasius, nella sua classica tripartizione tra ciò che è “giusto” (mondo del diritto), “onesto” (etica) e “decoroso” (decoro include i comportamenti raccomandabili nei reciproci rapporti, la cui inosservanza però non è colpita da sanzioni). Se Ferrajoli ha ragione, se bisogna cioè tenere uniti politica e Diritto, il politico/legislatore deve originare il “giusto”, non cercare di imporre ”l’onesto”. E in realtà dovrebbe farlo anche il magistrato.

Altro aspetto rilevante è quello sollevato da un altro maestro del Diritto e della politica, Rodotà, quando dice che sui diritti fondamentali la politica non può decidere, perché non si decide a maggioranza su questioni che riguardano la persona; immediatamente si apre la strada alla iuris-ditione, allo ius-dicere, cioè al decidere dicendo diritto, del magistrato giudicante. Siamo d’accordo, la dittatura della maggioranza è da evitare, e il giudice applica incidenter tantum la legge. Ed anche qui si manifesta un vulnus gius-teoretico rilevante: che fine ha fatto la sovranità? Si parla di dittatura della maggioranza, ma non si dovrebbe accogliere l’idea costituzionale (in senso di costituzionalista, non di testo costituzionale) di sovranità esercitata dal Popolo? In realtà Rodotà ha centrato un problema enorme: la sovranità si è in parte trasferita a Bruxelles, in parte è ritornata ai poteri che l’hanno esercitata nel corso dell’epoca del Dritto comune, sotto altre forme e con diverse implicazioni, ma certamente non è più nelle mani di quel Leviatano ormai orfano del proprio potere.
Speriamo in una nuova stagione politica, che allora, dovrebbe preludere, ovvero essere preceduta da, una nuova stagione di cultura giuridica.
                                                                                                                        P. B.

martedì 22 gennaio 2013

Perchè "il Popolare"

Questo blog nasce da un'esigenza. E da una presa d'atto.
L'esigenza che si è potentemente manifestata in questo periodo è quella di esprimersi, di farsi sentire. 
Ma chi? Chi sente la necessità di dire la sua?
La risposta è il popolare. Certo, dietro tale definizione si troveranno soggetti ben precisi che scriveranno liberamente ciò che riterranno giusto scrivere. Ma questo epiteto non riguarda piuttosto un chi particolare, una o più personalità specifiche. E' e può essere popolare chiunque crede nelle fondamentali aspirazioni dell'individuo ed ha coscienza che sono i pilastri della libertà e della dignità individuale a fondare, attraverso le relazioni, quello che si chiama un popolo. 
Il popolo, organicamente articolato nella sua etereogeneità, è il soggetto storico più valido a costruire, preservare e perpetuare una società altrettanto libera e dignitosa, in cui l'economia, il diritto, il lavoro, la salute, l'educazione siano veramente per l'uomo.  
Questa visione di principio è stata condivisa, è condivisa ed è condivisibile da molti. Proprio per questo è ancor più sentita l'esigenza di farla riemergere dal silenzio, nonchè di dare a opinioni raminghe un luogo in cui soffermarsi.
Una rinnovata centralità della collaborazione sociale e di uno Stato realmente popolare è una delle sfide dei nostri tempi. 
Non si può non fare a meno, perciò, di marcare il fatto che tracce inestinguibili da seguire sono tutti gli spunti che decenni di  pensiero sociale e democratico hanno lasciato nella nostra storia, con particolare riferimento alla tradizione popolare, cristiano-democratica e cristiano sociale, ma senza alcuna preclusione di sorta verso tutto ciò che alimenti un reale sentire popolare.
La presa d'atto riguarda il traviamento, le distorsioni, le errate interpretazioni a cui questa impostazione ideale è stata ed è spesso soggetta.
E ciò smuove e potrà smuovere la coscienza di tutti i "liberi e forti".

                                                                                                               il Popolare