sabato 7 febbraio 2015

Il neoliberismo en passant

Un breve estratto orientativo che può essere utile nel mare magnum del vociare mediatico.
Veramente consigliata la lettura del testo in nota.

I risultati del neoliberismo

"(...) può essere utile passare in rassegna, dal punto di vista storico-geografico, i risultati ottenuti dalla neoliberalizzazione (...). (negli anni ottanta e novanta) i tassi di crescita globale aggregata mostrano che la neoliberalizzazione non è sostanzialmente riuscita a stimolare la crescita globale[1]...

(...) quasi tutti gli indicatori globali che riguardano livelli di salute, aspettativa di vita, mortalità infantile e così via (...) mostrano, quanto a benessere, regressi e non conquiste[2].

(...) gli unici successi che la neoliberalizzazione può sistematicamente rivendicare sono quelli che riguardano la riduzione e il controllo dell'inflazione[3].

(...) Se la consapevolezza di questi fatti fosse più diffusa, l'esaltazione del neoliberismo e della sua specifica forma di globalizzazione dovrebbe smorzarne i toni. Perché, allora, ci sono così tante persone persuase che la neoliberalizzazione attraverso la globalizzazione sia "l'unica alternativa" e perchè ha avuto tanto successo? 
Due ragioni emergono in primo piano. In primo luogo la volatilità dell'irregolare sviluppo geografico si è intensificata, permettendo a determinati territori di progredire in modo spettacolare (almeno per un certo tempo) a spese di altri. Se, per esempio, gli anni ottanta sono appartenuti soprattutto al Giappone, alle "tigri asiatiche" e alla Germania occidentale, e se gli anni novanta sono appartenuti a Regno Unito e Stati Uniti, allora il fatto che il "successo" atteso da qualche parte ci fosse ha oscurato il fatto che la neoliberalizzazione in genere non stava affatto stimolando la crescita o accrescendo il benessere. In secondo luogo, la neoliberalizzazione, in quanto processo effettivo più che come teoria, ha rappresentato un successo enorme dal punto di vista delle classi più alte: ha ripristinato il potere dei ceti dominanti (come è accaduto negli USA e in una certa misura in Inghilterra) oppure ha creato le condizioni per la formazione di una classe capitalista (come in Cina, India, Russia e altrove).
Poichè i media sono dominati dagli interessi delle classi più alte, si è potuto propagare il mito secondo il quale gli stati fallivano economicamente perché non erano competitivi (creando di conseguenza la richiesta di ulteriori riforme neoliberiste). Si è voluto sostenere che una crescente disuguaglianza sociale all'interno di un territorio era condizione necessaria per incoraggiare quel rischio imprenditoriale e quell'innovazione che potevano accrescere la forza competitiva e stimolare la crescita. Se tra gli esponenti delle classi più basse le condizioni di vita si deterioravano, era perché non riuscivano, in genere per ragioni personali e culturali, a potenziare il proprio capitale umano (tramite l'istruzione, l'acquisizione di un'etica protestante del lavoro, e così via). Certi problemi nascevano, in breve, a causa della mancanza di forza competitiva o per via di carenze personali, culturali e politiche. In un mondo di darwinismo neoliberista, si diceva, solo i più adatti avrebbero potuto e dovuto sopravvivere[4]".





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                                                                                                   V. C. 



[1] D. Harvey, Breve storia del neoliberismo, il Saggiatore 2007, pag. 176.
[2] D. Harvey, Breve storia del neoliberismo, il Saggiatore 2007, pag. 178.
[3] D. Harvey, Breve storia del neoliberismo, il Saggiatore 2007, pag. 178.
[4] D. Harvey, Breve storia del neoliberismo, il Saggiatore 2007, pag. 179.






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