venerdì 15 marzo 2013

L’approssimarsi della ghigliottina



In una intervista del 1982 di Enzo Biagi nella trasmissione «Questo Secolo» Indro Montanelli ebbe a dire con la sua solita franchezza: «Le democrazie non vengono mai uccise… Le democrazie si suicidano». Faceva riferimento alle sorti della democrazia italiana del 1921-22 e a Mussolini, il quale, sempre secondo il giornalista di Fucecchio, si limitò solamente a seppellirla. Certamente Montanelli non analizza quel contesto da storico puro, né pretende di evidenziarne l’estrema complessità, ma fornisce una visione da perfetto cronista e testimone  di eventi così particolari e decisivi nella storia italiana. Sempre nell’intervista egli osservava come la democrazia di quegli anni si fosse ridotta ad un «grosso carnevale», priva com’era di una stabilità governativa e di forze politiche capaci di comprendere l’effettiva portata delle trasformazioni del primo dopoguerra.

Ora una situazione di evidente ingovernabilità si ripropone anche oggi con tantissime differenze rispetto a quel contesto. Il  risultato delle recenti elezioni legislative  evidenzia palesemente come il «grosso carnevale» dell’odierna politica italiana  abbia raggiunto dei livelli abbastanza drammatici. Ancor di più, esso risalta il fallimento di un ventennio e dimostra come in realtà il Paese non si sia ancora ripreso dal crollo della cosiddetta «prima Repubblica», dalla scomparsa dei partiti e delle culture politiche che hanno fondato la Repubblica. Da un sistema ormai logoro ma riformabile come quello dei partiti si è passati a quello dei partiti di plastica o azienda, ad personam, ovvero dei contenitori che raccolgono di tutto e di più, il cui unico criterio di appartenenza è misurato dalla convenienza che elargisce il capo azienda di turno (anche se uno in particolare svetta un po’ su tutti….). Per il  bilancio di questo salto «qualitativo» non c’è bisogno di aspettare l’«ardua sentenza» dei posteri, esso è già sotto gli occhi di tutti: un Paese asfissiato da un ingente debito pubblico, dai disagi sociali come la precarietà del lavoro giovanile e non solo, incapace di affrontare le sfide che impone il mondo globalizzato; un Paese senza prospettive in cui ogni governo si sente in dovere di approvare  una riforma  della scuola e dell’università che puntualmente smentisce la precedente senza nessun tipo di organica progettualità e senza nessun risultato effettivo, visto il progressivo peggioramento dei servizi offerti. Un Paese che si è ridotto a selezionare la propria classe dirigente nel migliore dei casi nei Cda di qualche azienda e o banca pubblica o privata (in Italia la differenza si percepisce poco), oppure in qualche palco televisivo, o nelle varie feste in  case e ville private (si potrebbe continuare con l’elenco ma, per decenza, non ci sembra il caso).


Negli anni 92-93-94’ si parlava di abbattere la «partitocrazia», accusata di impedire una trasparenza nella scelta dell’esecutivo: «E’ giusto che siano i cittadini a decidere chi governa e non i partiti». Bene, è evidente che questo risultato non sia stato propriamente raggiunto dato che dopo vent’anni gli italiani hanno votato per ben tre volte con un sistema elettorale, il porcellum, che non garantisce né la governabilità, tanto meno la rappresentanza. Infatti, in sette anni ci sono state tre legislature,  tre elezioni, di cui ben due anticipate, con tre governi (Prodi, Berlusconi, Monti) tutti caduti prima della naturale scadenza. Per quanto riguarda la rappresentanza, invece, l’Italia è l’unica grande democrazia occidentale in cui il cittadino non vota direttamente il proprio rappresentante in parlamento, ma si limita ad approvare un listino bloccato, messo in piedi dai vertici dei contenitori, nel migliore dei casi, o dal capo azienda di turno (e c’è sempre uno che spicca su tutti…). Ancora più grave, l’attuale sistema di voto permette ad una coalizione che non raggiunge nemmeno il 30% dei consensi (è il caso delle ultime elezioni) di ottenere il 55% della ripartizione dei seggi  alla Camera dei deputati (l’on. Acerbo aveva osato un po’ di più, al 65%). In otto anni nessuno è riuscito (forse per la mancanza di una effettiva volontà) a cambiare nemmeno un cavillo di questo capolavoro democratico-rappresentativo.


Ora, pare del tutto scontato, ma non giustificato, che nella voglia di liberarsi da questo «grosso carnevale» vi possano essere simpatie per delle  tentazioni quali la tecnocrazia montiana o peggio ancora il populismo qualunquista grillino. D’altronde visto il successo di quest’ultimo, sarebbe auspicabile che le principali forze politiche, in un estremo sussulto di decenza, di decoro e di amore per le istituzioni democratiche e repubblicane, si coalizzassero almeno per un governo di scopo che si occupasse di legge elettorale e delle questioni economiche più urgenti. Tra i vari tentativi di «abboccamento» e di marce nei tribunali tale prospettiva sembra ancora lontana dal concretizzarsi, lasciando un ampio margine di manovra al movimento grillino che, a suo dire, punta al 100% del parlamento.


Forse è meglio così, forse è necessaria una scossa che ridesti una Paese provato come il nostro e  troppo abituato al «carnevale». Sembrano attuali allora le parole di Gobetti nel suo celebre «Elogio della ghigliottina» che rispecchiano il clima  di insofferenza e in un certo senso di delusione nei confronti di una società e di una classe politica all’indomani dell’avvento del fascismo, chiuse nel parassitismo, nelle corporazioni, nei privilegi, nelle urla del non governo, ma aperte al fascino suggestivo di paternalistici miracoli e d’improbabili uomini della provvidenza: «Eppure, siamo sinceri fino in fondo, c’è chi ha atteso ansiosamente che venissero le persecuzioni personali perché dalle sofferenze rinascesse uno spirito, perché nel sacrificio dei suoi sacerdoti questo popolo riconoscesse se stesso. C’è stato in noi, nel nostro opporsi fermo, qualcosa di donchisciottesco. Ma si sentiva pure una disperata religiosità. Non possiamo illuderci di aver salvato la lotta politica: ne abbiamo custodito il simbolo e bisogna sperare (ahimè, con quanto scetticismo) che i tiranni siano tiranni, che la reazione sia reazione, che ci sia chi avrà il coraggio di levare la ghigliottina, che si mantengano le posizioni sino in fondo. Si può valorizzare il regime; si può cercare di ottenere tutti i frutti: chiediamo le frustate perché qualcuno si svegli, chiediamo il boia perché si possa veder chiaro».     

Vedremo.



                                                                                                    V.R.

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