mercoledì 5 novembre 2014

Che fine fa l’associazionismo?

Qualche settimana fa in piazza San Pietro la Chiesa intera si è ritrovata per la beatificazione di Paolo VI. Oltre a celebrare la santità di Giovanni Battista Montini, asceso agli onori degli altari, la beatificazione ha favorito nel tempo che l’ha preceduta una serie di iniziative volte a porre una riflessione non solo su uno straordinario personaggio della Chiesa del XX secolo ma anche sull’ambiente che lo ha circondato. Una parte di questo ambiente è stata sicuramente la Fuci, di cui è stato assistente ecclesiastico dal 1925 al 1933. La Fuci è la più antica organizzazione studentesca italiana ed un’articolazione del variegato mondo dell’associazionismo cattolico italiano.

Proprio l’associazionismo e il movimento cattolico, tanto celebrati nel periodo di Montini, oggi sembrano attraversare un momento che potrebbe essere definito di crisi o per lo meno di stallo. Se all’inizio del XX secolo Agostino Gemelli paragonava il movimento cattolico italiano ad un grande corpo che, nonostante la ricchezze di esperienze associative, si ritrovava ad avere una testa piccola, oggi potrebbe dire senza suscitare particolare scandalo che il suddetto oltre alla testa si ritrova ad avere anche un corpo piccolo. Ma se nell’ambito del movimento cattolico molte realtà appaiono comunque vivaci e in grado di poter offrire comunque una risposta ad una domanda di fede, il mondo dell’associazionismo arranca. La sua azione in seno alla società è poca incisiva e più indirizzata a conservare la sua complessa configurazione fatta di statuti, tessere, congressi. Sembra  impantanato in una situazione di paralisi e di inconsistenza e di inconcludenza rispetto a una società che viaggia a vele spiegate verso l’ignota e per certi versi inquietante rotta della post-contemporaneità. Arduo e complesso sarebbe rintracciare le cause di questa inconsistenza dell’associazionismo cattolico italiano.
      
Certamente il panorama sociale italiano è profondamente cambiato, come del resto quello internazionale. Il declino della forma associazione va di pari passo con quello della forma istituzionale tout-court o delle altre forme di rappresentanza come i partiti o i sindacati. E questo si palesa soprattutto nell’ambito ecclesiale. Il proliferare dal Vaticano II di movimenti e di cammini di fede alternativi ha sicuramente indebolito la struttura associativa che nel corso del XX secolo ha rappresentato uno dei pilatri  su cui si dispiegava la vita di fede dei cattolici italiani.

Ora, la varietà e la presenza di cammini e di movimenti è sicuramente  un aspetto positivo per la Chiesa e che risponde ad una domanda spirituale significativa, ma il progressivo indebolimento dell’associazionismo rende manifeste delle possibili derive che non possono essere trascurate. Forse la più preoccupante è rappresentata dal distacco che si sta delineando tra società civile ed esperienza di fede, tra l’essere cittadino e l’essere fedele. La manifestazione palese è stata a livello politico lo sgretolamento  della tradizione popolare e cristiano-democratica, praticamente svuotata da chi se ne diceva (o dice) legittimo prosecutore. Tradizione che vedeva nell’associazionismo il proprio serbatoio di energie, di uomini, il proprio laboratorio di idee. L’affermazione di uno storico come Chabod che ha definito la nascita del PPI come l’evento più importante della storia d’Italia del XX secolo, evidenzia il peso decisivo di un certa tradizione. Non si tratta in questo caso di rimembrare una mitica età dell’oro, il che sarebbe irreale, ma un evidenziare come i cattolici si sono inseriti nella società italiana con la prospettiva di cambiarla nell’ambito non solo politico ma anche dell’università, della cultura, dell’economia, del lavoro. Il rischio di oggi è quello di articolare la vita di fede nell’ottica di uno spiritualismo disincarnato, tendente a creare un vero e proprio fossato con il mondo che ci circonda . Il cristiano, infatti, ha gli occhi fissi al cielo ma anche i piedi saldi in terra. Il cristiano è chiamato sì a non essere del mondo ma a vivere nel mondo.  

Per colmare tale fossato, si è tentato di serrare le fila del cattolicesimo militante intorno a dei principi verso i quali chi si ritiene cattolico non può mostrarsi insensibile. E’ la linea dei valori non negoziabili perseguita dalla metà degli anni novanta dalle autorità ecclesiastiche, con lo scopo di mobilitare l’opinione pubblica cattolica, priva di un punto di riferimento come la Democrazia Cristiana, su determinati temi. Linea che si è limitata all’ottenimento di risultati immediati, quali il rinvio o la cancellazione di certe leggi, o di prove di forza, posizionandosi su un fronte di strenua opposizione e niente più. Questo aspetto “negativo”, andato oltre le intenzioni di chi all’inizio aveva sposato questa linea, ha evidenziato la mancanza di un ceto dirigente laicale, formato in passato nell’associazionismo. Un ceto dirigente che sperimentava un'autonomia del fedele, impegnato nella cosa pubblica e vissuta non come distacco dal mondo o dall’autorità ecclesiale «ma per non impegnare in una vicenda estremamente difficile e rischiosa l’autorità spirituale della Chiesa (...) L’autonomia dei cattolici impegnati nella vita pubblica, chiamati a vivere il libero confronto della vita democratica in un contatto senza discriminazioni. L’autonomia è la nostra assunzione di responsabilità, è il nostro correre da soli il nostro rischio, è il nostro modo personale di rendere servizio e di dare, se possibile, una testimonianza ai valori cristiani nella vita sociale»[1]. Inoltre, costruire un impegno solo su alcuni temi, anche se ritenuti non negoziabili, rischia di scadere nelle contraddizioni tipiche di alcuni settori della destra religiosa americana, impegnata nella lotta contro l’aborto e l’eutanasia, ma altrettanto accanita nel sostenere la pena di morte e la ricchezza di chi è già ricco.

Il movimento cattolico italiano è stato molto più di questo. Ha permesso la partecipazione politica dei fedeli in uno Stato all’inizio ostile, ha pensato l’alternativa alla lotta di classe nella tutela dei lavoratori, ha contribuito all’uscita da una ristrettezza culturale positivista, ha dato una voce di libera coscienza in un regime e molto più ancora. E’ necessaria a questo punto una riflessione che miri ad un ripensamento che interpella le autorità ecclesiali e laici impegnati, perché questo patrimonio e questa tradizione non diventino cimeli da conservare e su cui crogiolarsi ma ricchezza per costruire e non disperdere. Altrimenti si può già comporre il de profundis. Bisogna avere, però, il coraggio di intonarlo.

                                                                                                               V. R.    





[1] A. Moro, Realazione introduttiva all’VIII Congresso nazionale della Democrazia Cristiana, Napoli, 27 gennaio 1962.

1 commento:

  1. Ottime osservazioni. A tal proposito, consiglio di leggere due paragrafi della Evangelii Gaudium proprio in tema di associazionismo. Occorre non dimenticare che tutti i movimenti "sono vento dello Spirito Santo", ma non devono mai perdere di vista il loro fine: la Parola evangelica. Ammetto compito assai arduo.
    I parr. sono il 95 e il 105.
    Ho provato ad allegarli, senza riuscirci.

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