Qualche settimana fa in piazza San
Pietro la Chiesa intera si è ritrovata per la beatificazione di Paolo VI. Oltre
a celebrare la santità di Giovanni Battista Montini, asceso agli onori degli
altari, la beatificazione ha favorito nel tempo che l’ha preceduta una serie di
iniziative volte a porre una riflessione non solo su uno straordinario personaggio della Chiesa
del XX secolo ma anche sull’ambiente che lo ha circondato. Una parte di questo ambiente
è stata sicuramente la Fuci, di cui è stato assistente ecclesiastico dal 1925
al 1933. La Fuci è la più antica organizzazione studentesca italiana ed
un’articolazione del variegato mondo dell’associazionismo cattolico italiano.
Proprio l’associazionismo e il movimento cattolico, tanto celebrati nel
periodo di Montini, oggi sembrano attraversare un momento che potrebbe essere
definito di crisi o per lo meno di stallo. Se all’inizio del XX secolo Agostino
Gemelli paragonava il movimento cattolico italiano ad un grande corpo che, nonostante la ricchezze di esperienze associative, si ritrovava ad avere una
testa piccola, oggi potrebbe dire senza suscitare particolare scandalo che il
suddetto oltre alla testa si ritrova ad avere anche un corpo piccolo. Ma se
nell’ambito del movimento cattolico molte realtà appaiono comunque vivaci e in
grado di poter offrire comunque una risposta ad una domanda di fede, il mondo
dell’associazionismo arranca. La sua azione in seno alla società è poca
incisiva e più indirizzata a conservare la sua complessa configurazione fatta
di statuti, tessere, congressi. Sembra impantanato
in una situazione di paralisi e di inconsistenza e di inconcludenza rispetto a
una società che viaggia a vele spiegate verso l’ignota e per certi versi
inquietante rotta della post-contemporaneità. Arduo e complesso sarebbe
rintracciare le cause di questa inconsistenza dell’associazionismo cattolico
italiano.
Certamente il panorama sociale italiano è profondamente cambiato, come del resto quello internazionale. Il
declino della forma associazione va di pari passo con quello della forma
istituzionale tout-court o delle altre forme di rappresentanza come i partiti o
i sindacati. E questo si palesa soprattutto nell’ambito ecclesiale. Il
proliferare dal Vaticano II di movimenti e di cammini di fede alternativi ha
sicuramente indebolito la struttura associativa che nel corso del XX secolo ha
rappresentato uno dei pilatri su cui si
dispiegava la vita di fede dei cattolici italiani.
Ora, la varietà e la presenza di cammini
e di movimenti è sicuramente un aspetto
positivo per la Chiesa e che risponde ad una domanda spirituale significativa,
ma il progressivo indebolimento dell’associazionismo rende manifeste delle
possibili derive che non possono essere trascurate. Forse la più preoccupante è rappresentata dal
distacco che si sta delineando tra società civile ed esperienza di fede, tra l’essere
cittadino e l’essere fedele. La manifestazione palese è stata a livello
politico lo sgretolamento della
tradizione popolare e cristiano-democratica, praticamente svuotata da chi se ne
diceva (o dice) legittimo prosecutore. Tradizione che vedeva
nell’associazionismo il proprio serbatoio di energie, di uomini, il proprio
laboratorio di idee. L’affermazione di uno storico come Chabod che ha definito
la nascita del PPI come l’evento più importante della storia d’Italia del XX
secolo, evidenzia il peso decisivo di un certa tradizione. Non si tratta in
questo caso di rimembrare una mitica età dell’oro, il che sarebbe irreale, ma un
evidenziare come i cattolici si sono inseriti nella società italiana con la
prospettiva di cambiarla nell’ambito non solo politico ma anche
dell’università, della cultura, dell’economia, del lavoro. Il rischio di oggi è
quello di articolare la vita di fede nell’ottica di uno spiritualismo disincarnato, tendente a creare un vero e proprio
fossato con il mondo che ci circonda . Il cristiano, infatti, ha gli occhi fissi al cielo ma anche i piedi saldi in terra. Il cristiano è
chiamato sì a non essere del mondo ma
a vivere nel mondo.
Per colmare tale fossato, si è tentato di serrare le fila del cattolicesimo militante intorno a dei
principi verso i quali chi si ritiene cattolico non può mostrarsi insensibile. E’
la linea dei valori non negoziabili
perseguita dalla metà degli anni novanta dalle autorità ecclesiastiche, con lo
scopo di mobilitare l’opinione pubblica cattolica, priva di un punto di
riferimento come la Democrazia Cristiana, su determinati temi. Linea che si è
limitata all’ottenimento di risultati immediati, quali il rinvio o la
cancellazione di certe leggi, o di prove di forza, posizionandosi su un fronte
di strenua opposizione e niente più. Questo aspetto “negativo”, andato oltre le
intenzioni di chi all’inizio aveva sposato questa linea, ha evidenziato la
mancanza di un ceto dirigente laicale, formato in passato nell’associazionismo.
Un ceto dirigente che sperimentava un'autonomia del fedele, impegnato nella
cosa pubblica e vissuta non come distacco dal mondo o dall’autorità ecclesiale «ma
per non impegnare in una vicenda estremamente difficile e rischiosa l’autorità
spirituale della Chiesa (...) L’autonomia dei cattolici impegnati nella vita
pubblica, chiamati a vivere il libero confronto della vita democratica in un
contatto senza discriminazioni. L’autonomia è la nostra assunzione di
responsabilità, è il nostro correre da soli il nostro rischio, è il nostro modo
personale di rendere servizio e di dare, se possibile, una testimonianza ai
valori cristiani nella vita sociale»[1]. Inoltre,
costruire un impegno solo su alcuni temi, anche se ritenuti non negoziabili,
rischia di scadere nelle contraddizioni tipiche di alcuni settori della destra
religiosa americana, impegnata nella lotta contro l’aborto e l’eutanasia, ma
altrettanto accanita nel sostenere la pena di morte e la ricchezza di chi è già
ricco.
Il movimento cattolico italiano è stato
molto più di questo. Ha permesso la partecipazione politica dei fedeli in uno
Stato all’inizio ostile, ha pensato l’alternativa alla lotta di classe nella
tutela dei lavoratori, ha contribuito all’uscita da una ristrettezza culturale
positivista, ha dato una voce di libera coscienza in un regime e molto più
ancora. E’ necessaria a questo punto una riflessione che miri ad un
ripensamento che interpella le autorità ecclesiali e laici impegnati, perché
questo patrimonio e questa tradizione non diventino cimeli da conservare e su
cui crogiolarsi ma ricchezza per costruire e non disperdere. Altrimenti si può
già comporre il de profundis. Bisogna
avere, però, il coraggio di intonarlo.
V. R.
[1]
A. Moro, Realazione introduttiva all’VIII Congresso nazionale della Democrazia
Cristiana, Napoli, 27 gennaio 1962.
Ottime osservazioni. A tal proposito, consiglio di leggere due paragrafi della Evangelii Gaudium proprio in tema di associazionismo. Occorre non dimenticare che tutti i movimenti "sono vento dello Spirito Santo", ma non devono mai perdere di vista il loro fine: la Parola evangelica. Ammetto compito assai arduo.
RispondiEliminaI parr. sono il 95 e il 105.
Ho provato ad allegarli, senza riuscirci.