mercoledì 23 gennaio 2013

Politica e Diritto

Politica e Diritto. Due categorie tenute distinte dalla dottrina, secondo un grande maestro del Diritto (Ferrajoli) che oggi bisogna cominciare a riunire. D’accordo, riuniamoli, ma prima è necessaria una ricognizione, generalissima, e me ne scuso, sullo stato della politica in Italia. Ovviamente si accennano argomenti che è impossibile ed inefficace sviscerare in questa sede; ma che possono essere approfonditi in caso di dibattito.

La prima questione che appare evidente all’osservatore da lontano, senza bisogno di binocolo, è il detrimento degli argomenti politici. Nella campagna elettorale più veloce delle ultime tre competizioni, di idee se ne è parlato pochino. Sarebbe stato gratificante sentire quale idea di Uomo accettano, quale respingono, i vari candidati. Quale antropologia, sociologia, quale orizzonte si apre votando Bersani ovvero Monti, Berlusconi, Storace, il Movimento 5 stelle?

Parliamo di candidati e non di partiti, per l’ulteriore questione, identificabile a una distanza più ridotta dal cuore del problema politico: sistema istituzionale partitico, cioè forma di governo parlamentare, ma con una legge elettorale che non si adatta, che pretende l’indicazione del “capo” di coalizione, o di lista, e che rende “quasi” vincolato il Presidente della Repubblica ad affidare l’incarico di formare il Governo a quel “capetto”, tronfio di una legittimazione popolare estorta agli elettori.

Addentrandosi nella babelica architettura politica italiana, gli occhi sono attratti come falene al neon, da una vicenda più complessa, ma più importante di tutte. La classica tripartizione dei poteri, le concezioni che muovono da Locke, Bodin, Hobbes, insomma lo Stato moderno, sembra intenzionato ad andare in pensione (dopo aver scontato gli anni in più che la riforma Fornero gli ha concesso). Come? Sotto diversi profili, ma il più apparente è proprio nel rapporto tra politica e Diritto. 

Quando magistrati (requirenti, si badi, non giudicanti) si preoccupano di politica, candidandosi, invece di servire la legge, con la loro attività privilegiata in cui sicuramente può manifestarsi una concezione politica di società, di uomo, di morale, è chiaro il sintomo di un’influenza negativa: cosa per-seguono, quale interesse (al singolare) sottendono alla propria azione? Sembra che la spinta ricevuta da questi soggetti, considerabili nel complesso come categoria, come “automata” (macchine che si muovono da sole una volta avviate dall’esterno), sia quella morale. Il Diritto è fuori dalla loro ottica, e si può rintracciare una concezione morale della politica: moralismo. Si può immediatamente pensare al settecentesco Thomasius, nella sua classica tripartizione tra ciò che è “giusto” (mondo del diritto), “onesto” (etica) e “decoroso” (decoro include i comportamenti raccomandabili nei reciproci rapporti, la cui inosservanza però non è colpita da sanzioni). Se Ferrajoli ha ragione, se bisogna cioè tenere uniti politica e Diritto, il politico/legislatore deve originare il “giusto”, non cercare di imporre ”l’onesto”. E in realtà dovrebbe farlo anche il magistrato.

Altro aspetto rilevante è quello sollevato da un altro maestro del Diritto e della politica, Rodotà, quando dice che sui diritti fondamentali la politica non può decidere, perché non si decide a maggioranza su questioni che riguardano la persona; immediatamente si apre la strada alla iuris-ditione, allo ius-dicere, cioè al decidere dicendo diritto, del magistrato giudicante. Siamo d’accordo, la dittatura della maggioranza è da evitare, e il giudice applica incidenter tantum la legge. Ed anche qui si manifesta un vulnus gius-teoretico rilevante: che fine ha fatto la sovranità? Si parla di dittatura della maggioranza, ma non si dovrebbe accogliere l’idea costituzionale (in senso di costituzionalista, non di testo costituzionale) di sovranità esercitata dal Popolo? In realtà Rodotà ha centrato un problema enorme: la sovranità si è in parte trasferita a Bruxelles, in parte è ritornata ai poteri che l’hanno esercitata nel corso dell’epoca del Dritto comune, sotto altre forme e con diverse implicazioni, ma certamente non è più nelle mani di quel Leviatano ormai orfano del proprio potere.
Speriamo in una nuova stagione politica, che allora, dovrebbe preludere, ovvero essere preceduta da, una nuova stagione di cultura giuridica.
                                                                                                                        P. B.

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