Quante
volte udiamo la parola “sogno” nel dibattito politico odierno? Tante. “Sogniamo un’Italia così…”, “dobbiamo
credere in questo sogno…”, “il sogno
di un’Italia nuova…”, “il sogno dei
giovani per l’Italia, per l’Europa…”, “non
bisogna distruggere questo grande sogno…”, eccetera, eccetera, eccetera.
Rinsaviti
dalla sbornia da logorrea politicante, la domanda
sorge spontanea: è giusto, è adeguato utilizzare tale termine nel linguaggio
politico? O non è forse errato dal punto di vista sostanziale e, agli estremi,
fuorviante? Effettivamente, ciò potrebbe risultare vero. Perché in realtà, il
grande assente non solo nell’ambito del linguaggio ma specialmente dal punto di
vista fattuale, risulta essere il termine “visione”.
Nella politica conta di più il sogno o la visione? Ma soprattutto, non sono
tutto sommato la stessa cosa? Di fondo, no.
Andiamo con ordine, aggiungendo come terzo “comodo” il termine “idea” e il suo
significato, il concetto insito nella sua forma verbale.
“Visione”[1]
viene dal latino videre e, di base, vuol dire “vedere”. Tralasciando il
significato più trascendente, cioè quello di “scena, immagine straordinaria che si vede o si crede di aver visto in
stato di estasi o per cause soprannaturali”, è già molto chiaro il significato
propriamente fisiologico: “(la visione) è
il processo di percezione degli stimoli luminosi, la capacità di vedere”. Partendo da ciò ed estendendo questo
significato all’ambito più generale, la visione è, molto semplicemente, “l’azione, il fatto di vedere una cosa per
esaminarla, trarne notizie utili”. Dilatando temporalmente questo processo,
questa azione, la visione diviene in sintesi “un modo di vedere, un concetto, un’idea personale – dilato anche io
e aggiungo: politica – che si ha in
merito a qualcosa”. Il procedimento sembra dunque molto semplice: la luce
illumina il bicchiere. Percepisco questo stimolo luminoso e dunque sono capace
di vedere quell’oggetto. Ciò mi rende possibile esaminarlo e vedo che è una
struttura poco alta e cava dentro. Da ciò avrò il concetto o l’idea che
qualsiasi altro oggetto simile sarà quello che definisco “bicchiere”.
“Sogno”[2]
proviene invece dal latino sŏmnium, a
sua volta derivante da somnus, cioè “sonno”. Già qui vorrei
sottolineare la differenza tra videre
e somnus: l’essere svegli; tanto è
vero che si dice “ho fatto un sogno” e non “ho visto un sogno”. Atteniamoci ai
due significati più importanti e generali: “in
senso ampio, ogni attività mentale, anche frammentaria, che si svolge durante
il sonno; in senso più stretto e più comune, l’attività (mentale) più o meno nitida e dettagliata, con una struttura narrativa più o meno
coerente; immaginazione vana, fantastica, di cose irrealizzabili”. Anche in
questo caso il procedimento è semplice: durante il sonno sogno un essere alato
sputa fuoco con zampe di cavallo e testa di leone che mi insegue e vuole
uccidermi; io lo sconfiggo con una balestra con dardi-laser. Per me dormiente,
tutto molto realistico.
Forse
si sarà già inteso qual è lo spartiacque
tra i due termini, ma il concetto di “idea” sarà ancora più utile.
“Idea”[3],
dal greco ίδέα, cioè “aspetto, forma,
apparenza”, a sua volta derivante dal verbo ίδέĩν, “vedere”. Dunque,
idea e visione hanno già qualcosa in comune, cioè il “vedere”. È necessario,
però, a questo punto, tralasciare tutto il discorso complessivo sull’idea
riguardante l’argomento filosofico e platonico specialmente, poiché
essenzialmente meriterebbe una lunga e specifica trattazione a parte, e non
sono questi momento, sede e soggetto scrivente per farla. Aggiungo soltanto che
l’idea platonica è molto simile alla definizione di idea come “attività della mente rivolta ad immaginare
una possibile realtà (in contrapposizione alla realtà stessa)”. E
sottolineo “(in contrapposizione alla
realtà stessa)”. Tornando a noi, nel significato più ampio e generico,
un’idea è “ogni singolo contenuto del
pensiero, e, più in particolare, la rappresentazione di un oggetto alla mente, la nozione che la mente si forma e riceve di
una cosa reale o immaginaria”. Esempi: l’idea di fuoco – cioè fiamma,
calore, luce -, o l’idea di bene e male – più variabili soggettivamente -.
Detto ciò, si apre una biforcazione: un’idea può essere “il prodotto dell’attività del pensiero, quindi un concetto che sta alla
base, che è ispiratore, spunto per un’opera dell’ingegno o dell’arte, e
soprattutto (per quello che ci interessa) la parte sostanziale, il contenuto di una dottrina da tradurre in
realtà”. Dall’altro lato, l’idea può essere sempre un “prodotto della mente, ma dell’immaginazione, della fantasia, una
credenza o speranza illusoria, cosa, in genere, non rispondente a realtà o
verità”.
In
sintesi, un’idea può essere “un modo di
vedere e giudicare le cose, un’opinione, una intenzione, uno scopo”. Ma è importantissimo, fondamentale, sapere se
essa ha come matrice di base una visione o un sogno. In modo particolarissimo
nell’ambito della politica. Se l’architettura di un palazzo, una scultura,
possono essere più o meno influenzate da una visione reale o da un sogno, ciò è
molto meno vero per una “architettura” politica. Perché? Perché essa riguarda e coinvolge pesantemente la vita reale
delle persone, di molte persone, e tutto ciò che ne consegue.
Nell’alveo
politico è dunque necessario possedere un’idea. Ancor più necessario, a mio
avviso, è possedere un’idea legata ad una visione politica e non ad un sogno
politico. La visione, come suddetto, vuol dire “percepire gli stimoli che provengono dal reale”, e dunque “avere la capacità di vedere la realtà”.
Da questa “capacità di vedere”
discende la capacità di giudizio, di scelta. La visione precede l’idea di questa scelta, ciò che è propriamente
“l’aspetto, la forma, l’apparenza” di
questa “capacità di vedere”. L’idea
derivante dalla “capacità di vedere”,
dalla visione del reale, nella politica, è molto più veritiera e fondata
rispetto all’idea derivante da un sogno di per sé molto più fallace e meno
coerente.
Se
la visione è “vedere” (videre) e
l’idea è pure “vedere (ίδέĩν) e il
sogno è “sonno” (somnus), se le parole hanno ancora un significato,
è allora forse meglio fidarsi di chi vede e non di chi sogna, assegnando il
sognare al suo giusto posto, che non è probabilmente il luogo politico.
Perché
la differenza è sempre, in fondo, quella originaria: l’essere “svegli” o no.
Utilizziamo queste parole nel modo corretto.
RispondiEliminaIn politica bisogna avere "un'idea".
Bisogna lottare per quell'idea per poter realizzare quella "visione" che si ha del mondo/della società ecc..
"Ho un sogno" l'ha detto un altro tizio.
Avere sogni in politica non è detto che sia neanche un male per carità, l'importante è che la mattina quando ti svegli fai di tutto per realizzarli. Altrimenti sentir parlare di sogni da politici senza idee e con una visione a dir poco contorta della realtà è quanto mai grottesco.
Sono più o meno d'accordo su tutto.
RispondiEliminaL'unico appunto è su quel famoso: "I have a dream": sinonimo di dream nel contesto di quella frase e di quel discorso è più "hope", quindi speranza, che non "sogno". Non dimentichiamo poi che M.L. King più che un politico era prima di tutto un pastore protestante, i suoi discorsi, dunque, vanno sempre considerati nella forma mentis esortativa propria di un ministro della Chiesa (cattolica, ortodosso, o protestante che sia).
http://www.wordreference.com/enit/dream
Comunque grazie per il commento.
V.