lunedì 10 novembre 2014

Bioetica laica e bioetica cattolica

Vorrei porre l’attenzione su di un tema particolarmente delicato ma quasi abbandonato da una società a solidarietà immatura, per non dire fortemente carente, soprattutto nei confronti dei soggetti deboli quali il nascituro concepito. Davanti il progredire della tecnica, l’osservatore, specialmente quello cattolico, sembra assopito dai fumi di finta libertà intrinseca al dominio del proprio corpo. L’uomo si considera centro di se stesso, non figlio di un unico Padre, come noi cristiani crediamo. Le parole che scriverò non sono rivestite da presunzione di completezza, l’argomento è fin troppo delicato e complesso; vogliono soltanto presentare un monito e un tentativo di risveglio del nostro io cosciente.

Il legislatore[1] e la giurisprudenza di riferimento sembrano avvalorare l’idea di un sistema costituzionalmente orientato nella direzione di una preminente necessità di protezione della salute della donna, senza considerare pienamente la figura del nascituro concepito. La protezione della donna diventa bene supremo dinanzi al quale, almeno de iure condito, ogni altro bene, anche il diritto alla vita o, ove lo si ammetta, anche alla non vita se non sana, sembra essere costretto a cedere il passo, giusto o sbagliato che possa apparire. Proprio in senso contrario all’antico brocardo primum vivere, deinde filosofari. Si manifesta quindi la tensione tra due opposti paradigmi: quello della bioetica laica, consistente nel «principio della qualità della vita» e quello della bioetica cattolica, consistente, invece, nel «principio della sacralità della vita». Entrambi, però, da potersi considerare come giusti limiti al progresso tecnico-scientifico[2]. In una simile prospettiva, la bioetica sarebbe da considerare come strumento di individuazione di giusti limiti al «progresso tecnico-scientifico» ed in conseguenza della crisi di morali assolute, manifestatasi in maniera devastante con il movimento nazista e con i tragici eventi ad esso conseguenti che hanno segnato la fine dell’età dell’innocenza della scienza, venendo messa in discussione la sua auctoritas[3].

La problematica dei diritti umani non è tanto più quella di giustificarli, quanto, quella di proteggerli, una questione non filosofica, ma politica[4]. Appare evidente come l’art. 1 c.c., benché da intendersi norma fondamentale in materia di tutela della persona e del concepito, non sembra, tuttavia, essere sufficiente al fine di coordinare la tutela della soggettività giuridica con quella della persona. Sembra esservi disomogeneità tra il concetto di soggetto di diritto e quello di persona, cui si rivolge la nostra Costituzione e la Convenzione dei diritti dell’uomo. Persona sembra essere considerata l’essere naturale, meglio definita dalla filosofia come centro di relazioni, che è necessariamente anche soggetto di diritti per l’ordinamento. Il concetto di soggetto di diritto e quello di persona umana sono ben distinti, non omogenei e aventi diversi riferimenti normativi, risultando più ampia la protezione della persona.

Quello di persona è un concetto che preesiste all’ordine giuridico che, pertanto, non la determina e non è neppure in grado di porre limiti alla protezione di essa. Si spiega meglio, in tal senso, l’incipit dell’art. 1, comma 1, della legge sulla interruzione di gravidanza[5]: «lo Stato tutela la vita umana dal suo inizio». La legge sembra prescindere da una personificazione del vivente. È assicurata tutela al nascituro a prescindere dal suo essere persona, almeno come tradizionalmente intesa. Di conseguenza vi è vita nell’embrione, vi è vita nel feto. L’unico limite tollerabile alla protezione della vita del nascituro è la tutela della salute della donna, essere naturale non in divenire, se si preferisce, persona fattasi.

Questa situazione giuridica soggettiva più favorevole al nascituro, in termini di estensione della tutela della persona, rappresenta, forse, la vera novità della l. 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita. L’art. 1 della citata legge «assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito». Nonostante la dizione usata dal legislatore sia oscura, sembra, tuttavia, chiaro il riferimento al diritto alla vita e alla dignità del nascituro, potendosi giustamente discutere addirittura sulla possibile estensione del diritto alla vita sino a ricomprendere anche il diritto a nascere sani. Nonostante alcuni autori, di dubbia derivazione politica, abbiano affermato che tutelando il nascituro «si scorge la volontà di imporre un modello di gestione del corpo della donna, sottratto alla libera gestione della persona interessata», ci si chiede se sia in atto un parziale mutamento della concezione stessa dei diritti fondamentali - con specifico riferimento ai diritti umani -  tradizionalmente intesi come «diritti universali ed inalienabili a cui ogni individuo può appellarsi per il fatto che, nascendo, arriva nel mondo come membro dell’umanità».

Sembra dunque trovarsi una crisi bioetica del diritto, nel senso che sia la scienza sia l’affermazione dei diritti umani abdichino alla loro funzione di giusti limiti al potere della tecnica. Una risposta, seppure debole e parziale, è stata data dalla l. n. 40 del 2004 invitando ad essere cauti e prudenti nel trattare l’embrione, non dovendo essere considerato come nulla. Questa potrebbe essere la linea interpretativa da percorrere in materia, cercando di escludere pericolosi eccessi o, ancora peggio, strumentalizzazioni sterili e superficiali. L’indagine deve essere ricondotta anche e necessariamente sui doveri, specialmente in ambito familiare, di preservare l’integrità, di garantire la nascita, la crescita, di proteggere la salute del nascituro. «Bisogni ed interessi», questi, scrive Giorgio Oppo[6], «attuali di quella entità vivente che è il feto a prescindere dalla sua qualificazione come persona». L’autore evidenzia come oggi ci si trovi di fronte al declino del soggetto ed all’ascesa della persona, nel senso che «il progressivo passaggio dei diritti umani dall’ordine sociale all’ordine statuale, può essere descritto come ascesa della persona rispetto al soggetto; ma è anche ascesa dello stesso soggetto, da una condizione di soggezione a una condizione di sempre più centralità nell’ordine giuridico. Un declino è quindi configurabile solo come riduzione di una posizione di prevalenza della nozione e della realtà giuridica del soggetto rispetto alla nozione e alla realtà della persona, non come perdita di sostanziale giuridicità».

Tutto ciò già accadeva nell’antico diritto romano, del quale sorprende la modernità: chi è capace, anche prima della nascita, è da considerare a tutti gli effetti persona. Punto di forza del diritto romano classico e giustinianeo era la non elaborazione di concetti astratti, se non quando fossero estremamente necessari. Già dall’utilizzo della terminologia si evidenzia la sensibilità dei giureconsulti classici in tema di nascituri concepiti. Il termine più usato è qui in utero est, che esprime un concetto estremamente concreto. Accanto a questo viene usato anche partus (può indicare, oltre al partorire, anche il nascituro ed il nato) per sottolineare la continuità tra il nascituro e il nato attraverso l’atto del partorire. Il termine fetus non è usato dai giuristi in riferimento all’uomo, ma soltanto per gli animali[7]. La Costituzione italiana, all’art. 32, in riferimento al fondamentale diritto alla salute, usa il concetto giuridico, perfettamente adeguato alla rerum natura, di individuo. Con ciò viene implicitamente affermata, al di sopra di ogni discussione positivistica, la titolarità di diritti di ogni individuo umano esistente, anche concepito. Nonostante in Italia sia prevalso l’individualismo, esso sembra venir affievolito dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale italiana a partire dal 1997. Il diritto alla vita dell’individuo deve essere integrato nel diritto alla vita del popolo: un diritto alla vita inteso in modo totale. La via inizia concettualmente nel rapporto tra individuo e collettività indicata dal giurista Alfeno Varo, alla fine dell’età repubblicana; la via si sviluppa grazie al favore per il nascituro precisato da Ulpiano, Paolo, Marciano; la via conduce all’aumento della cittadinanza da Caracalla a Giustiniano.Non vanno dimenticati, oggi, i problemi dello status (ad es. la cittadinanza dei nuovi nati, l’adozione dei concepiti), così come quello degli alimenti.

Quanto alla convergenza dei sistemi giuridici appare utile ricordare la discussione tra Rabbi Jehudà il patriarca e l’imperatore Antonino (forse Marco Aurelio) che si trova nel Talmud[8]: «Antonino ha chiesto a Rabbi: ”da quando viene introdotta l’anima nell’uomo, dall’ora del concepimento o dall’ora della formazione [dell’embrione]?”. Gli rispose: “dall’ora della formazione”. Gli disse [Antonino a Rabbi]: “è mai possibile che un pezzo di carne stia tre giorni senza sale, senza andare a male? Certo deve essere dall’ora del concepimento [lett. la visitazione]”. Ha detto Rabbi:”questo mi ha insegnato Antonino e vi è un passo biblico che lo conferma, come è detto: Mi hai donato vita e mi hai usato misericordia e la tua visitazione conservò il mio spirito”».
Questo rispetto per l’individuo, in cui convergono l’Ebreo e il Romano, si scontra con l’odierno individualismo del più forte che minaccia la crescita di ogni popolo.


                                                                                                      E. D. M.






[1] L. 194/1978 sull’aborto e L. 40/2004 sulla riproduzione assistita.
[2] Limiti sui quali si è iniziato a discutere seriamente durante il Processo di Norimberga con le sue tragiche e drammatiche rilevazioni.
[3] F. Rinaldi, Relazione del 5.4.2013 presso Università degli Studi di Cassino nell’ambito di un seminario svolto per le attività del Dottorato in Diritti fondamentali.
[4] N. Bobbio, Sul fondamento dei diritti dell’uomo, in L’età dei diritti, Torino, 1990, p. 52 ss.
[5] L. n. 194/1978
[6] G. Oppo, L’inizio della vita umana, in Riv. dir.civ., 1982, p. 504
[7] P. Catalano, Diritto, soggetti, oggetti, in Iuris Vincula, Napoli, 200, p. 98 ss.
[8] T.B. Sanhedrin 91 a. Stessa questione posto dai padri della Chiesa tra Tertulliano e Sant’Agostino.

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