“L’Italia è il Paese che amo”.
Sembra assurdo, ma qualcuno ha costruito una carriera politica partendo da
queste facili parole. Non so se è capitato a tutti di amare, a me sì: posso
garantire che quando si ama, la vita quotidiana è sospinta da una forza
incredibile. Cosa c’entra tutto questo con il titolo?
Il nesso è facile. La vita
quotidiana di un giovane laureato in Giurisprudenza è costruita interamente
sull’amore, cioè su una forza invisibile che lo incoraggia ad andare avanti. In
Italia infatti non ha nessun senso pratico, finalizzato all’inserimento professionale,
frequentare alcun corso o percorso formativo post lauream. L’unico senso che ha è il formalissimo puro e semplice
rilascio di un titolo. Non si impara davvero niente di utile da spendere
nell’immaginario e ormai mitico “mondo del lavoro”.
Ammesso che esista, il mondo del
lavoro è ad anni luce di distanza dal “pianeta gavetta”, anch’esso, come una
più nota Isola, situato immediatamente dopo la “seconda a destra, poi dritto
fino al mattino”: non c’è!
È il momento di cambiare.
L’Italia tiene al palo della formazione migliaia di talenti, che nascosti sotto
il materasso per un decennio non renderanno di più, anzi, renderanno sempre
meno. Ecco le riforme da fare: eliminare odiosi percorsi a ostacoli (scuole di
specializzazione, tirocini, praticantati) e rendere accessibile il lavoro
subito; includere la pratica obbligatoria all’Università; di conseguenza
eliminare gli esami di Stato. Altro che “Atto Lavori” (Jobs Act).
Tutto questo si collega con una
visione politica della società, per certi versi intrinseca alla storia
dell’Occidente. Alla base di tutto c’è una concezione diversa dello “stato di
natura”, della situazione in cui versano gli Uomini prima di costruire uno
Stato giuridico. Se è presupposto uno stato di natura in cui gli uomini sono
“lupi” (S. Agostino, Hobbes) gli uni degli altri, è necessario uno Stato
giuridico che autoritativamente dica cosa fare, selezioni, agisca (tramite gli
ordini professionali) per legalizzare la lotta omicida, trasformandola in
ordinata e legittima prevaricazione del più forte (in termini di titoli).
L’altra concezione di stato di natura è diametralmente opposta (S. Tommaso,
Locke): qui si presuppone che agli esseri umani piace interagire per il bene di
ciascuno, ed entrando in contatto, “convengano” (covenant) uno Stato giuridico per prosperare tutti.
Si potrebbe dunque
affermare che una certa visione possa essere chiamata di destra, e l’altra, di
sinistra. Nota: entrambe queste tensioni possono coesistere in un raccoglitore
politico, ovunque esso sia collocato nella destra e nella sinistra
parlamentarie. Le nostre categorie sono tensioni filosofiche intrinseche all’uomo
politico e al legislatore. Secondo me, la prima ha caratterizzato la passata evoluzione
(dagli anni ’20 del secolo scorso ad oggi) delle “LIBERE” (!?) professioni in
Italia. È forse il momento che la seconda impostazione prevalga; e che gli
ordini professionali restino enti di garanzia e tutela: nulla più.
P. B.
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