Politica
e Diritto. Due categorie tenute distinte dalla dottrina, secondo un grande
maestro del Diritto (Ferrajoli) che oggi bisogna cominciare a riunire.
D’accordo, riuniamoli, ma prima è necessaria una ricognizione, generalissima, e
me ne scuso, sullo stato della politica in Italia. Ovviamente si accennano
argomenti che è impossibile ed inefficace sviscerare in questa sede; ma che
possono essere approfonditi in caso di dibattito.
La
prima questione che appare evidente all’osservatore da lontano, senza bisogno
di binocolo, è il detrimento degli argomenti politici. Nella campagna
elettorale più veloce delle ultime tre competizioni, di idee se ne è parlato
pochino. Sarebbe stato gratificante sentire quale idea di Uomo accettano, quale
respingono, i vari candidati. Quale antropologia, sociologia, quale orizzonte
si apre votando Bersani ovvero Monti, Berlusconi, Storace, il Movimento 5
stelle?
Parliamo
di candidati e non di partiti, per l’ulteriore questione, identificabile a una
distanza più ridotta dal cuore del problema politico: sistema istituzionale
partitico, cioè forma di governo parlamentare, ma con una legge elettorale che non
si adatta, che pretende l’indicazione del “capo” di coalizione, o di lista, e
che rende “quasi” vincolato il Presidente della Repubblica ad affidare
l’incarico di formare il Governo a quel “capetto”, tronfio di una
legittimazione popolare estorta agli elettori.
Addentrandosi
nella babelica architettura politica italiana, gli occhi sono attratti come
falene al neon, da una vicenda più complessa, ma più importante di tutte. La
classica tripartizione dei poteri, le concezioni che muovono da Locke, Bodin,
Hobbes, insomma lo Stato moderno, sembra intenzionato ad andare in pensione
(dopo aver scontato gli anni in più che la riforma Fornero gli ha concesso).
Come? Sotto diversi profili, ma il più apparente è proprio nel rapporto tra
politica e Diritto.
Quando magistrati (requirenti, si badi, non giudicanti) si
preoccupano di politica, candidandosi, invece di servire la legge, con la loro attività
privilegiata in cui sicuramente può manifestarsi una concezione politica di
società, di uomo, di morale, è chiaro il sintomo di un’influenza negativa: cosa
per-seguono, quale interesse (al singolare) sottendono alla propria azione?
Sembra che la spinta ricevuta da questi soggetti, considerabili nel complesso
come categoria, come “automata” (macchine che si muovono da sole una volta
avviate dall’esterno), sia quella morale. Il Diritto è fuori dalla loro ottica,
e si può rintracciare una concezione morale della politica: moralismo. Si può immediatamente pensare al settecentesco
Thomasius, nella sua classica tripartizione tra ciò che è
“giusto” (mondo del diritto), “onesto” (etica) e
“decoroso” (decoro include i comportamenti raccomandabili nei reciproci
rapporti, la cui inosservanza però non è colpita da sanzioni). Se Ferrajoli ha
ragione, se bisogna cioè tenere uniti politica e Diritto, il
politico/legislatore deve originare il “giusto”, non cercare di imporre
”l’onesto”. E in realtà dovrebbe farlo anche il magistrato.
Altro
aspetto rilevante è quello sollevato da un altro maestro del Diritto e della
politica, Rodotà, quando dice che sui diritti fondamentali la politica non può
decidere, perché non si decide a maggioranza su questioni che riguardano la
persona; immediatamente si apre la strada alla iuris-ditione, allo ius-dicere,
cioè al decidere dicendo diritto, del magistrato giudicante. Siamo d’accordo,
la dittatura della maggioranza è da evitare, e il giudice applica incidenter tantum la legge. Ed anche qui
si manifesta un vulnus gius-teoretico rilevante: che fine ha fatto la
sovranità? Si parla di dittatura della maggioranza, ma non si dovrebbe
accogliere l’idea costituzionale (in senso di costituzionalista, non di testo
costituzionale) di sovranità esercitata dal Popolo? In realtà Rodotà ha
centrato un problema enorme: la sovranità si è in parte trasferita a Bruxelles,
in parte è ritornata ai poteri che l’hanno esercitata nel corso dell’epoca del
Dritto comune, sotto altre forme e con diverse implicazioni, ma certamente non
è più nelle mani di quel Leviatano ormai orfano del proprio potere.
Speriamo
in una nuova stagione politica, che allora, dovrebbe preludere, ovvero essere
preceduta da, una nuova stagione di cultura giuridica.
P. B.