È sempre stato problematico, sia
nella storia quanto nella vita di tutti i giorni, utilizzare il pesante
aggettivo “irreversibile”. Questo
perché, come generalmente risaputo, poche sono le cose irreversibili nel complesso
delle vicende umane, le quali, in quanto tali, sono caratterizzate dalla stessa
mutabilità dei soggetti che le vivono. Probabilmente, l’ultima espressione
rimasta impressa ai più in cui si è manifestato l’aggettivo “irreversibile” è
stata quella pronunciata dal governatore della Banca Centrale Europea Mario Draghi il 21 luglio 2012 e
ribadita il 16 dicembre 2013: “l’Euro è
un processo irreversibile”. Frase impegnativa, in quanto, come già
anticipato, il parametro dell’irreversibilità è arduo da utilizzare già per le
semplici vicende umane quotidiane, figuriamoci per grandi e complessi processi
sociali, politici, economici.
In realtà, questa non è una novità.
Basta infatti volgersi al più recente passato novecentesco per scovare almeno due esempi di piena fiducia nella “irreversibilità”
degli eventi. La rivoluzione fascista, e in seguito quella nazista, erano
destinate a cambiare radicalmente l’uomo attraverso un processo irreversibile
di progressione verso “l’uomo nuovo”: non a caso, il III Reich era da
considerarsi “millenario”, un qualcosa di definitivo, di, appunto,
irreversibile; ancor di più e ancor prima, la rivoluzione socialista sarebbe
dovuta diventare rivoluzione universale, destinata a coinvolgere tutti i paesi
nel cammino verso il certo - e irreversibile – orizzonte comune: la presa del
potere da parte del proletariato e la formazione della nuova società
socialista. Entrambe le dottrine politiche, analizzate dalla storiografia tanto
nelle loro differenze quanto nelle loro somiglianze – che non sono poche -,
sono segnate da un indirizzo basato su un determinismo
storico di fondo: le cose andranno così perche devono andare così e non
possono non andare così.
Ma che c’entra questo discorso con
l’esternazione di Draghi? Qualcosa c’entra, e per tentare di spiegarlo sarà
comodo utilizzare il principale e più duraturo dei determinismi storici recenti:
quello marxista-leninista. Gli eventi umani, per Marx, Lenin e per chi poi
seguirà le loro orme, non possono che evolvere in una direzione: la presa di
coscienza del proletariato della propria forza e il rivolgimento dello status quo borghese della società
attraverso l’imposizione della nuova società socialista.
Al procedimento leninista di imposizione
violenta della “dittatura del proletariato”, si manifesta in Italia, ad opera
di Antonio Gramsci, il concetto di “egemonia”.
A questo punto è utile citare lo storico Pietro Scoppola: “se la dittatura è imposizione, l’egemonia è un fatto spontaneo che
nasce da una supremazia. All’imposizione rivoluzionaria si sostituisce così un
processo fondato sulla forza spontanea di un’idea valida, sulla praticabilità
del consenso”.
La domanda che, giustamente, lo storico si pone è: “il concetto di egemonia è sufficiente a conciliare la concezione
marxista-leninista con i valori della tradizione liberaldemocratica? Nella
visione di Gramsci l’egemonia è funzionale a un processo di trasformazione irreversibile. Il passaggio dalla
società capitalistica a quella socialista non è un processo reversibile per
volontà dei cittadini, ma è legato a un determinismo storico”.
La conclusione, dunque, non può che
essere una: “La riflessione gramsciana
sull’egemonia non è sufficiente a creare una saldatura fra la concezione
marxista-leninista e quella liberaldemocratica fondata essenzialmente sul principio della libera scelta e quindi
della reversibilità delle decisioni. La democrazia esiste laddove un
governo può essere sconfessato, messo in minoranza, cacciato. È questo il punto
di arrivo di tutto il processo di sviluppo del liberalismo”.
A questa, qualche pagina più avanti, si aggiunge una conclusione di carattere
più generale: “ … siamo spesso obbligati
a riconoscere degli stati di necessità, ma gli spazi di libertà degli uomini
(…) non sono né totali, né inesistenti. Tutte
le filosofie della storia che si muovono su posizioni radicali non
corrispondono alla realtà. Gli spazi di libertà umana individuale e
collettiva, sono limitati ma esistono. (…) nella storia umana esistono limiti
oggettivi alla libertà d’iniziativa e di scelta, condizionamenti che creano
situazioni di necessità. (…) riconoscere che esistono stati di necessità non
significa negare che ci siano dei costi”.
Tornando, ora, alla frase
pronunciata da Draghi, essa c’entra e interessa proprio perché sintomatica di un modo di pensare ed
agire molto simile a quello che si è sopra descritto grazie alle parole di
Scoppola. Un procedere cioè indirizzato, guidato, fissato da una filosofia
della storia radicale, da un lampante determinismo storico.
Negli ultimi anni la realtà
effettiva ha evidenziato in tutta la sua crudezza le svariate problematiche
connesse all’adozione di un’unione monetaria tra paesi considerevolmente
diversi. Numerosi ed autorevoli critici, vecchi e nuovi, (tra i quali si
annoverano sette premi Nobel) spiegano l’importanza di prendere coscienza degli
errori, di poter tornare sui propri passi e di poter cambiare le scelte,
riscuotendo sostanziosi consensi nelle opinioni pubbliche nazionali sempre più
desiderose di informazioni affidabili che riescano a spiegare con cognizione di
causa le ragioni profonde di questa inspiegabile – e quasi esclusivamente europea
– depressione infinita. Ciò accade, ma
non conta.
Il percorso disegnato è, infatti,
chiaro: l’Euro è irreversibile poiché è l’unico elemento che da sostanza alla
parola “Europa”. Non importa che la
parola sia la sintesi verbale secolare di un’entità geografica, sociale,
religiosa, culturale, politica. Non importa che ben 10 stati su 28 dell’Unione
Europea non facciano parte dell’unione monetaria. Non importa che un potere che
tradizionalmente definiva il nucleo della sovranità e dell’indipendenza statuale
moderna – come il governo della moneta – sia stato trasferito (erroneamente?
Ideologicamente? Incautamente?) ad un ente formalmente comunitario ma che, de facto, è tarato e piegato sugli
interessi di una sola nazione estera. Tutto ciò non importa, e come tale non è
degno né di attenzione né di ascolto.
L’avvenire di un’Europa unita - ma
dipende anche come ci si unisce, perché ci si unisce e se è necessario unirsi - passa necessariamente e irreversibilmente
dall’Euro – il che, in termini edilizi, nonché della scienza politica, equivale
a dire che si costruisce una casa dal tetto e non dalle fondamenta -. Là fuori
c’è la Cina, cosa pensano di fare gli staterelli europei - come se qualcuno
negasse la possibilità di ulteriori forme di alleanza, cooperazione ecc…, ma
soprattutto, già, come fanno gli altri 203 stati del mondo che non sono la Cina?
- ? Ed è qui che entra in gioco il concetto di “egemonia” come “praticabilità
del consenso”: la supremazia, la forza spontanea dell’idea valida va e deve
andare oltre la realtà e riscuotere consenso.
Si spiega così il concetto ripetuto da Draghi e da tutti coloro che - e nelle
classi dirigenti come nei media sono
tanti - condividono deterministicamente l’idea superiore. Si potrebbe
utilizzare, in questo caso, un’espressione che autodesignava alle porte della I
guerra mondiale tutti coloro che nutrivano altissime quanto illusorie
aspettative ideali verso il significato della guerra: comunità di destino. Ecco, la comunità di destino per raggiungere
questo destino - non definito tra l’altro - è pronta a passare sopra ogni
intoppo fattuale e ad includere tutti, volenti o nolenti, in questa comunità
pellegrina.
Ma tanto ormai, si dirà, ciò che è
fatto è fatto. È evidente che seguendo questo pensiero si va in primis contro il principio fondamentale della concezione
liberaldemocratica a noi proprio, cioè quello suddetto della libera scelta e
quindi della reversibilità delle decisioni; in secondo luogo, in base a tale
ragionamento, allora nel passato avremmo dovuto lasciare tutto come si era
definito e non tentare di cambiare il corso degli eventi: quindi il nazismo in
Germania, il fascismo in Italia, la colonizzazione ecc…
Ricapitolando: “Tutte le filosofie della storia che si muovono su posizioni radicali
non corrispondono alla realtà” e tendono a riempire tutti “gli spazi di libertà umana individuale e
collettiva”, che “sono limitati ma
esistono”. Ergo sono pericolose e vanno maneggiate con cura. Ergo bisogna
sognare, sì, ma ogni tanto svegliarsi.
Ricorda qualcosa tutto ciò?
“I fatti sono testardi” usava dire
Lenin…
V. C.