"Società civile” e “Chiesa-popolo di Dio” sono due concetti alla base di una visione partecipativa ed in
senso lato democratica delle due dimensioni dell’Uomo occidentale. Ma davvero
esistono nell’esperienza categorie così nettamente individuabili all’interno
dei rispettivi ambiti?
Immaginiamo uno Stato-istituzione senza “società civile”;
oppure una Chiesa-istituzione senza il
“popolo di Dio”: gusci vuoti. Anzi, per la verità, gusci artificiali
vuoti.
In diversi ambienti, tanto civili quanto ecclesiastici, si
verifica il solito abuso linguistico; si avverte quasi una contrapposizione tra
queste astrazioni, queste categorie generiche, e una realtà istituzionale
separabile. Si sente parlare di “noi della società civile” contro “loro della
politica”, oppure “noi Chiesa comunità” contro una “Chiesa/clero/istituzione”.
La parte sugli aspetti ecclesiastici è consultabile su http://fuciromasapienza.myblog.it/
Per quanto riguarda lo Stato, i politologi si esercitano da
secoli sulla distinzione tra Stato-comunità e Stato-istituzione. Il diritto
costituzionale, più rigoroso, supera queste questioni esteriori considerando lo
Stato come ordinamento giuridico.
Dal punto di vista concreto e reale, fuori dalle
elucubrazioni intellettuali, è del tutto banale la distinzione tra “società
civile” e “politica” o Stato. Tanto perché in democrazia (rappresentativa o
diretta) la società civile è la politica (partecipando a partiti e votando,
oppure solo votando nel caso della diretta), quanto perché una politica che
prescinde dalla società civile è destinata a non sopravvivere ed essere
sostituita. Ma per la prima ragione, ad essere sostituita, in ultima analisi, è
una parte della società civile, quella che si è impegnata nelle res publicae.
Quindi a fallire, da un punto di vista storico, è una
generazione, un popolo di una determinata epoca: tutti gli Italiani, tutta la
società, sono il prodotto della sua evoluzione (ovvero involuzione) culturale e
sociale. Se i politici di fine ‘900 sono considerati “ladri”, è vero che in
buona parte delle case, nel XX secolo e nei primi del XXI, si evade il canone
RAI; oppure in buona parte degli esercizi commerciali non si adempiono oneri
fiscali; etcc … . Insomma, buona parte dei politici è la rappresentazione di
buona parte della società, perché i politici sono la società.
La soluzione? Dare una chance alla generazione successiva.
P. B.
Intervento di Paolo è sempre preciso, chiaro e diretto al punto. E' vero, la classe politica è la fotografia della società civile e la società civile è la fotografia della classe politica. Entrambe sono due facce della stessa medaglia. Anche meri movimenti di protesta, sorti negli ultimi anni, sono il frutto di una società sofferente, quasi malata. E' nella patologia che si incarnano tutte le difficoltà, tutti i buoni propositi vengono meno e si lascia terreno fertile all'odio, all'insoddisfazione e alla depressione. L'Italia è afflitta da queste malattie. Solo lasciando spazio alla nuova generazione si può dar vita ad una terapia adeguata. Ma questa generazione deve avere, a sua volta, una forte capacità antibiotica tale da respingere i virus della mala gestione e dell'opportunismo. Questo antibiotico esiste: è incamerato nella Pura Conoscenza, e nel buon senso, che seppur rari, si fanno spazio tra i giovani "di buona volontà".
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