La
recente crisi economica legata alle note vicende dei mutui subprime ha messo in evidenza le vistose crepe del modello di
mercato concorrenziale che si era edificato. La rinuncia della cultura giuridica
alla concettualizzazione a priori,
unita alla mera preoccupazione di intervenire esclusivamente a posteriori al fine di rimediare alle
storture derivanti dalle disparità di potere contrattuale tra le parti, avevano
plasmato un modello di mercato connotato dall’agire libero se non anarchico
dell’autonomia privata, che è inesorabilmente precipitato nella faglia
transcontinentale dei prodotti finanziari.
La
prima conseguenza è stata la deflagrazione del principio formulato dal giudice
Brandeis nel celebre libro dei primi anni del secolo scorso “Other’s People Money and How the Bankers Use
it”, secondo il quale le informazioni sono il miglior disinfettante del
mercato. L’idea è stata che la full
disclosure delle informazioni relative agli strumenti finanziari sia, di
per sé, il modo migliore per garantire l’efficiente allocazione delle risorse
sul mercato dei capitali e per stimolare di conseguenza la creazione di
ricchezza.
La
storia si è incaricata di dimostrare che anche quell’ottimismo era malriposto.
All’indomani della crisi ci si é accorti che quasi tutte le operazioni di
cartolarizzazione dei mutui subprime
sono avvenute negli Stati Uniti nel pieno rispetto delle leggi federali e che i
titoli tossici circolavano accompagnati da documenti informativi accurati e
dettagliati. Il vero è che tali documenti non venivano neppure letti o quanto
meno non venivano capiti a causa delle loro complessità. Si è osservato che una
rigorosa applicazione dell’analisi dei costi - benefici rende quanto meno
dubbia la vantaggiosità di un’adeguata verifica delle informazioni: il costo
per comprendere appieno le informazioni sembra eccedere il guadagno ottenuto.
La
mistica di un’informazione ora sovrabbondante ora eccessivamente costosa si è
tradotta in una burocratizzazione inefficiente del rapporto tra le parti. Si è
raggiunto pertanto non una asimmetria
dell’informazione ma una sorta di simmetria
della disinformazione: la gran parte degli operatori che avevano negoziato
i titoli tossici risultavano a loro volta acquirenti del tutto convinti della
qualità dell’investimento.
Di
conseguenza, la crisi del mercato ha evidenziato le deficienze di una libertà
esercitata al di fuori di direttrici fissate dal legislatore.
Gli
elementi cui attingere la soluzione si devono cogliere altrove, trascendendo la
pura logica del mercato concorrenziale e ponendo mente alla funzionalizzazione
dell’agire del singolo ad un interesse pubblico generale, che mira nuovamente
alla regolazione del mercato e non si
accontenta della regolazione nel
mercato. Un mercato in senso non economicistico, come ordo naturalis, ma in senso giuridico-costruttivistico, come ordo legalis, conformato cioè alle
regole del diritto positivo promosse dall’intervento pubblico correttivo.
La
proposta che si vuole evidenziare non è quella di dismettere l’attuale modello
di mercato invalso in Europa, bensì di correggerlo e rinforzarlo.
Una
via potrebbe essere rintracciata nella Dottrina Sociale della Chiesa ed in
particolare nei principi di solidarietà, libertà ed eguaglianza, che
rappresentano, al di là della loro specifica condivisibilità, una prospettiva
di speranza e uno stimolo quanto meno al miglioramento del modello di mercato
esistente.
In
un tale quadro, le parole di Papa Francesco[1]
ci donano quella speranza, ricca di gioia, di cui l’uomo è affamato. Il Pontefice
riconosce e plaude i successi che contribuiscono al benessere delle persone,
per esempio nell’ambito sanitario, educativo e comunicativo, ma allo stesso
tempo evidenzia che “non si può
dimenticare che la maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo
vivono una quotidiana precarietà, con conseguenze funeste. Aumentano alcune
patologie. Il timore, la disperazione si impadroniscono del cuore di numerose
persone, persino nei paesi cosiddetti ricchi. La gioia di vivere
frequentemente si spegne, crescono la
mancanza di rispetto e la violenza, l’iniquità diventa sempre più evidente.
Bisogna lottare
per vivere e, spesso, per vivere con poca dignità.
Così come il
comandamento non uccidere pone un limite chiaro per assicurare il valore della
vita umana, oggi dobbiamo dire no a un’economia dell’esclusione e delle iniquità.
Questa economia uccide.
Oggi tutto entra
nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia
il più debole. Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di
consumo, che si può usare e poi gettare”.
Si
è dato inizio alla cultura dello scarto
che, addirittura, viene promossa. Gli esclusi non sono sfruttati ma rifiuti, avanzi.
Una
delle cause di questa situazione si trova nella relazione che si è stabilita
con il denaro, poiché si accetta pacificamente il suo predominio sulle nostre
società.
“La
crisi finanziaria che attraversiamo ci fa dimenticare che alla sua
origine vi è una profonda crisi antropologica: la negazione del primato
dell’essere umano!
Abbiamo creato
nuovi idoli. L’adorazione del vitello d’oro[2] ha
trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella
dittatura di un’economia senza volto e senza uno scopo veramente umano.
Dietro questo
atteggiamento si nascondono il rifiuto dell’etica e il rifiuto di Dio.
All’etica si guarda di solito con un certo disprezzo. La si avverte come una
minaccia, poiché condanna la manipolazione e la degradazione della persona.
L’etica rimanda a un Dio che attende una risposta impegnativa, che si pone al
di fuori delle categorie del mercato. Per queste, se assolutizzate, Dio è
incontrollabile, non manipolabile, persino pericoloso, in quanto chiama
l’essere umano alla sua piena realizzazione e all’indipendenza da qualunque
tipo di schiavitù.
Il denaro deve servire e non governare!”.
I
meccanismi dell’economia attuale promuovono un’esasperazione del consumo, ma
risulta che il consumismo sfrenato, unito all’iniquità, danneggia doppiamente
il tessuto sociale. In tal modo la disparità sociale genererà, prima o poi, una
violenta reazione la cui risoluzione sarà alquanto complessa.
Riflettiamoci
su.
E.D.M